SAVORY

PASTICCIO DI TRECCE DELL’ORTO CON RAGU’ VEGETALE

“Non è facile avere un bel giardino: è difficile come governare un regno. Ci si deve risolvere ad amare anche le imperfezioni, altrimenti ci si illude.”

Herman HesseMa tu lo hai mai visto un ulivo in fiore?

No. Tutto quello che ho sempre desiderato era un prato verde e una pompa d’acqua con la quale, sotto il sole cocente, ci saremmo innaffiati a vicenda. Sognavo di vedere crescere i miei figli come selvaggi, lasciandoli a rincorrersi coi piedi scalzi sopra un prato pungente di verde, mentre immaginavo che ogni loro lite si sarebbe sempre conclusa con un’abbontande doccia con il tubo dell’irrigazione. Potevo vedere le loro risate liberatorie. Ma un ulivo in fiore, no. Quello no. Non lo avevo mai visto e neanche mai potuto sognare.

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INSALATA CON SPINACI, POLLO, ZUCCHINE E TORINESI

L’insostenibile leggerezza del … grissino.

Grissini e Torino

Quando mi è stato proposto di preparare una ricetta con i Torinesi, ho avuto subito la pungente curiosità di saperne di più. Ed è stato proprio in questa occasione che ho scoperto che le origini nobili dei grissini sono radicate in Piemonte e strettamente legate alle città di Torino e Alba. La leggenda infatti narra chei grissini furono inventati intorno al 1670, a Torino, da un panettiere di nome Antonio Brunero, per il giovane e malato Duca di Savoia, Vittorio Amedeo II al quale il medico del Palazzo Ducale ordinò che gli fosse somministrato del cibo di facile digestione, nonché appetitoso. La soluzione ingegnosa dei grissini, senza mollica e quindi assolutamente più dieribili, pare che abbia avuto tanto effetto sul giovane Duca da farlo crescere forte, sano e intelligente, amato per le sue gesta eroiche nella difesa della città di Torino dall’assedio francese. Un torinese insomma, reso grande dai torinesi.

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MALTAGLIATI AL FARRO CON ZUCCA, CECI E BRODO DI CURCUMA

Mi sembrava davvero che quella casa ci stesse aspettando.
Perché anche le case aspettano i loro inquilini, sopravvivono anni lontano da noi e poi aprono le loro braccia di porte e di persiane a una giovane coppia, a due scemi che tremano di felicità.
Margaret Mazzantini

La prima cosa bella e questo Autunno

Finalmente una bella notizia. La prima cosa bella (canterebbe Nicola di Bari) è stato sapere che questo anno così complicato e paradossale ci regalerà in colpo di coda l’emozione di una casa nuova. Una casa tutta intera e tutta nostra dalle fondamenta al tetto, con giardino ed alberi da frutto, un’enorme pungitopo e lo spazio per un piccolo orto. Un pezzo di campagna all’interno della città, dove poter coltivare l’alternarsi delle stagioni e delle persone a noi care. E questo Autunno, che porta già con sè i colori e la ruggine delle foglie cadute, non avrebbe potuto iniziare meglio.

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PANINI DI PASTA DURA

Tu proverai sì come sa di sale
lo pane altrui, e come è duro calle
lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale.
(Dante Alighieri)

Una lunga storia di pane

Fare il pane non è cosa da poco. Ne rimango fortemente convinta nonostante l’intensa attività di panificazione registrata nei dintorni sia nei giorni di quarantena che in quelli a seguire. Mi convinco pure che non sia cosa per me. Tutto questo andirivieni di fornai e panettieri novelli inibisce la mia voglia di panificare ed amplia a dismisura quella sorta di timore reverenziale che mi ha spinto finora ad allontanarmi piuttosto che avvicendarmi su queste strade così battute. Ch’io faccia come la volpe con l’uva? Può darsi. Ma nella mia concezione di cucina, dettata per lo più dall’istinto, dai ricordi e dalla voglia di esaudire le voglie del momento; quella del pane resta un’impresa culinaria che merita tempi e attenzioni fuori dal comune. Una lunga storia insomma, da intraprendere con profonda coscienza e conoscenza e terminare se possibile con un pizzico di audacia ma solo dopo averla vissuta fino in fondo. Solo così (forse) mi convinco non a panificare, ma certo a studiare di farlo.

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FOCACCIA GENOVESE AL ROSMARINO

Rituale ligure della focaccia genovese: si prepara la sera per la colazione del giorno dopo.

Continuiamo a convivere con questa inconsueta dilatazione del tempo e degli spazi. Tutto è sospeso, ovattato, come se mi fossi improvvisamente ritrovata all’interno di una bolla di sapone che si ostina a non voler scoppiare mentre rimbalza lenta e senza meta tra le pareti di casa. Non mi mancano i viaggi, o le cene fuori, o la libertà negli spostamenti, nè scelta di un cinema, di una giornata all’aperto: per indole sono sempre stata una gran pantofolaia e spesso a certe sortite ho preferito il comfort domestico. Mi mancano però le mie abitudini, quelle consuetudini fisse e certe con cui scandivo il tempo, le giornate, perfino l’andamento delle stagioni.

Ecco questo mi manca più di ogni altra cosa. Ritornare al ritmo sicuro e cadenzato della mia precedente quotidianità.

Che a dirla tutta era una gran frenesia e un gran movimento, questo è vero. E spesso, a voler essere del tutto sinceri, sembrava di stare su una giostra mandata a doppia velocità, dalla quale per poter scendere toccava fare svariate capriole acrobatiche. Ma a sera era stranamente bello ritrovarsi stanchi e spossati sul divano. E quella quiete immobile e serale aveva un suo perché. Ora la quiete c’è sempre. Anche al mattino e durante il pranzo, nel pomeriggio e alla sera. Ed io per questo in essa mi perdo. Non so riconoscermi.

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