C’e sempre una nonna dietro un ciambellone e c’è sempre un dolce ricordo dentro ogni sua fetta…
Di natura sono una persona schiva e riservata, forse questo lo avrete capito. Per questo nel corso di questi anni di blog mi è sempre stato difficile raccontare esplicitamente della mia famiglia e delle persone a me più intimamente legate. Forse nel farlo ho sempre inteso proteggerle o forse proteggevo me stessa: esporsi, che sia mettersi in gioco o semplicemente raccontarsi, è un’azione che per rispetto o timidezza relego soltanto a me stessa, con l’intima consapevolezza di non volermi prendere la briga di parlare per gli altri.
Ma dietro ogni ciambellone che si rispetti, vi è senza ombra di dubbio il volto familiare e rassicurante di una nonna, così come dietro ogni singola ricetta si nasconde una storia, un frammento di vita vissuto, un sapore che è un ricordo inconfondibile. Non tramandare il ritratto di quel volto o la storia che ad esso è appartenuta, sarebbe come trascrivere un nome sul bagnasciuga e aspettare che la prima onda la cancelli. Ora che il tempo ha lasciato la giusta distanza tra la vita vissuta e la presente ricetta, posso però, con un pizzico di leggerezza in più, accingermi a raccontare di lei e di queste fette cariche di dolcissimi ricordi e di come siano arrivate fino a qui.
Mia nonna è sempre vissuta con noi. Eravamo una famiglia grande e numerosa, una strana mescolanza di vissuti racchiusi sotto un stesso tetto e di tutte queste vite, per molto tempo, lei ne è stato il legante, come l’uovo nelle polpette; l’elemento gioviale, divertente e irriverente, come il liquore nei pasticcini. Di lei ho pochi ma preziosi ricordi netti, quelli che bastano a connotare il nostro legame. Tutti noi la chiamavamo affettuosamente Pallina e non per le sue dimensioni, pur morbide e burrose, ma per la voglia di scherzare e divertirsi che portava sempre cucita addosso.
E già che di cucire se ne intendeva, visto che faceva la sarta, ed io l’ammiravo per questo. Sebbene da piccola, per un lungo incosciente periodo di vita, mi imbarazzasse indossare quei suoi vestiti cuciti a mano e avrei fatto carte false per uno di quegli abitini dall’impuntura precisa e seriale. Fu il giorno cui mi cucì il vestito di Maria Antonietta identico a quello delle figurine Panini per il carnevale della scuola, che compresi quanto sciocche e inutili fossero certe mie pretese e mi rimangiai tutto. Aveva un armadio pieno di stoffe colorate e gomitoli di lana ed un cassetto con scatole di ogni sorta e dimensione, all’interno delle quali conservava bottoni, nastri, merletti, vecchi fogli di carta modello ancora sporchi del gesso per imbastire. Rovistare, di nascosto, tra quelle cianfrusaglie era come mettere le mani su un tesoro nascosto. Lo stesso tesoro che potete ritrovare in questi scatti.
Era sempre la prima a svegliarsi e l’ultima a coricarsi. Ogni mattina nel silenzio della casa, si recava in cucina, apriva le imposte con le prime luci del giorno e metteva su la macchinetta del caffè per mio padre. Era il borbottio del primo caffè che sale a darci la sveglia. Si affacciava alla mia porta, mi chiamava chiedendomi puntualmente di avvertirla quando sarei andata a fare colazione. Potevano passare cinque o venti minuti in cui puntualmente dimenticavo di farlo, prima che mi presentassi ma quando arrivavo a tavola la colazione era sempre lì, pronta e apparecchiata. Pane caldo a fette, una tazza di latte bollente con una spolverata d’orzo e poi biscotti o ciambelloni a seconda del rituale che si era seguito nel pomeriggio precedente.
Più di mia madre era la persona che preferivo in cucina. Adoravo le sue zeppole cosparse di cannella che preparava per Natale, le sue uova al tegamino, gli gnocchi freschi, la pastiera, la sua pasta con le patate, le minestre con le verdure o la stracciatella, la crema pasticcera con le bucce intere di limone; ma di nessuna delle sue care preparazioni mi è rimasta traccia. Aveva il diploma di quinta elementare mia nonna e una bellissima grafia con cui scriveva lentissimamente in corsivo, con un tratto ancora da scolara, così preciso e ordinato però che ogni lettera diventava una voluta d’inchiostro blu. Poche cose cucinava seguendo qualche sua ricetta così trascritta e di questi suoi appunti a me sono rimasti solo quelli sulle zeppole. Tutto il resto lo preparava andando a memoria, con la stessa facilità ed eleganza con cui lasciava andare il pedale della sua macchina da cucire.
Io la seguivo spesso, a volte l’aiutavo e se il rituale del pomeriggio contemplava la preparazione di un ciambellone, a me toccava il compito di imburrare e infarinare, mentre lei montava le uova, a mano, con una semplice forchetta. Ricordo che non c’erano regole, si sceglieva olio o burro a seconda della disponibilità della dispensa, solo farina bianca o aggiunta di cacao se era in arrivo qualche amichetto goloso per la merenda. L’unico dictat era il divieto assoluto di leccare l’impasto dopo che era stato aggiunto il lievito per dolci (rigorosamente per ultimo); ma dopo anni di scorribande a ripulire ciotole con le dita a sua insaputa, credo che questo suo imperativo fosse più legato al desiderio di risparmiarci il retrogusto chimico dell’agente lievitante che al rischio dell’incolumità per la nostra vita dopo averlo assaggiato crudo.
Quando la scorsa settimana ho riordinato l’elenco delle ricette di questo blog, ho scoperto che mancava al mio appello proprio il ciambellone. Avrei tanto voluto dirvi che le dosi trascritte sono quelle che Pallina usava per allietare le nostre colazioni e le nostre merende, ma mentirei se vi dicessi che ricordo come lo preparava. Quello che posso dirvi però è che come con lei la scelta di combinare mascarpone e mandarinetto è arrivata un po’ per caso, da esigenze di dispensa, che lo stampo in alluminio un po’ sbiadito – in tutto e per tutto vecchio stampo – è lo stesso di tanti anni fa e che il lievito chimico è stato aggiunto per ultimo e la ciotola ripulita con le dita, mentre i ricordi scorrevano via veloci e dolcissimi tra le fette di questo ciambellone.
RECIPE
dosi per uno stampo da 24 cm
300 g di farina 00
180 g di zucchero
3 uova
1/2 bicchiere di latte intero
250 g di mascarpone
80 ml di mandarinetto (per me fatto in casa con mandarini bio)
1 cucchiaino di estratto di vaniglia
16 g di lievito per dolci
1 pizzico di sale
zucchero a velo ( e granella di zucchero)
Montate le uova con lo zucchero con l’uso delle fruste elettriche per almeno 5 minuti, fino a quando il composto non avrà duplicato il suo volume e sarà diventato chiaro e spumoso. Unite il pizzico di sale, poi la farina ben setacciata aggiungendone poca alla volta e facendo attenzione a non sgonfiare il composto. Versate poi a filo il mandarinetto e aggiungete il mascarpone. Girate con movimenti lenti e delicati, poi aggiungete il latte (può servirne anche meno della dose prescritta) per ottenere un impasto liscio e vellutato. Unite l’estratto di vaniglia e per ultimo il lievito setacciato. Versate in una teglia a ciambella preferibilmente di alluminio, imburrata ed infarinata, e fate cuocere in forno statico preriscaldato a 160°/180° per circa 40 minuti, usando la prova dello stecchino per verificare la cottura al centro.
Sfornate, fate completamente raffreddare e rovesciate su un piatto da portata. Spolverate con zucchero a velo o granella di zucchero.
[…] e due femmine, dal più grande alla più piccola. Io al centro esatto della ciurma. Ogni giorno colazione e merenda toccavano a lei. A lei che, per quelle occasioni, era l’unica responsabile di cosa […]
Hai condiviso ricordi che hanno riportato alla mente bellissimi momenti della mia infanzia, grazie :* w le nonne
W le nonne sì!! Tutte così speciali, uniche, inconfondibili, ma allo stesso tempo un Bene comune. Grazie Sonia d’esser passata. Un abbraccio Deb.
[…] piccola era una coccola speciale regalata da mia nonna, oggi è quell’attimo in cui mi fermo, mi concedo qualche piccolo lusso o colgo […]
la dolcezza dei ricordi potrebbe quasi essere un ingrediente, renderebbe all’occorrenza gli impasti più soffici e i biscotti più croccanti, la pasta facile da stendere e la lievitazione una nuvola. Leggendo di tua nonna mi sono un po’ emozionata, perchè le nonne un po’ è come se fossero di tutti, tanti sono i particolari che le accomunano che c’è un po’ di casa in ognuna di loro. Mi dispiace davvero non avere il mascarpone in casa (per la verità ahimè non ho neanche il mandarinetto) senno credimi lo avrei provato in un istante proprio per averlo per la colazione di domattina,visto che Camilla è sempre pronta ad impastare, e lasciarmi così svegliare dai ricordi. Magari avremmo potuto profumare il bistrot, ma sono sicura che presto lo faremo! Buona serata Deb, un abbraccio pancettoso
Cara Pancette è bello sapere che mie ricordi hanno emozionato ed è ancora più bello constatare che avete ritrovato un po’ di voi, della vostra casa, dei vostri ricordi nelle mie parole. Scrivere e raccontarsi così intimamente non è mai facile, ma la vostra commozione è la miglior ricompensa…Mia nonna comunque avrebbe adorato il vostro bistrot!! bacetti
Non so perchè la tastiera del mio pc s’è impazzita e mi ha scritto tutto maiuscolo dato che il tasto maiuscolo non mi funzionava…
So proprio ‘na ciofeca…
non mi sono nemmeno firmata…
Manù
No Manù la colpa è del mio blog che ha un’impostazione malefica, ma ho corretto tutto io, tranquilla, ed ora vado a godermi il tuo racconto qui di sotto…;-)
“Dimmi perchè, (ma perchè?) ne sa sempre più la nonna della mamma,
dimmi perchè,( boh boh), ne sa più di me ne sa più di te…
forse perchè,( ma perchè?) è la figlia della nonna della mamma, ecco perchè…”
faceva così una vecchia canzone dello Zecchino d’oro, dedicata proprio alla nonna..
Io ADORO INVECE QUESTI RACCONTI COSÌ CONFIDENZIALI, INTIMI, PERCHÈ ATTRAVERSO DI LORO CONOSCIAMO UN POCHINO DI PIÙ ANCHE TE..
Tua nonna era veramente “figa” come dico io, come la mia e come credo siano tutte le nonne a prescindere… Le nonne sono fighe per antonomasia.
La mia non preparava tantissimi dolci, in realtà, ma i pomeriggi passati a far cascioni fritti o cappelletti o pizza, me li ricordo come fosse ieri… Era fantastica mia nonna perchè per farci mangiare i legumi a noi nipoti, preparava il sugo coi fagioli o le fave o i piselli e poi lo passava al passaverdura, per non farci accorgere, ma il sapore e la consistenza erano comunque inconfondibili… Oppure metteva l’uovo fresco nel biberon con il latte a mio fratello e mio cugino che erano un pochino debolini, mentre a me e mia sorella ci faceva sentire grandi preparandoci il latte macchiato col caffè… D’orzo…
Le nonne sono COSÌ… È la loro vocazione, il loro mestiere coinvolgere, coccolare, insegnare, permettere alle nipotine e ai nipotini di sperimentare, fare, disfare… Le nonne sono pazienti, dolci, complici nelle preparazioni, protettive… Sono meravigliose…
Grazie mille per averci fatto conoscere la tua nonna fantastica, sei stata una nipotina fortunata, come lo sono stata io…
Ps: anche mia nonna si dilettava con le mani e i gomitoli e mi ha fatto un sacco di maglioni, vestiti e calzini e sciarpe di lana…. Così mi portavo ovunque il suo calore.
Cara Emanuela tu hai sacrosanta ragione: il mestiere delle nonne è quello di restare dolci e indelebili nei ricordi dei loro bambini, di trasmettere memorie che hanno un sapore speciale per chi le ascolta e poi le racconterà a sua volta. Io ho fatto un po’ fatica ad aprirmi, lo confesso, ma vedo che ne siete rimasti contenti e allora forse, arriveranno presto altri racconti e anedotti insieme alle mie ricette. Già perché averti come lettrice è un vero piacere!!!
Debora carissima,
perché il lunedì mattina, quando già splende il luminoso sole, come preparativo per una luminosa giornata, ora vedo le immagini tremolanti, i miei occhi lucidi per la commozione, per i ricordi così teneri, affettuosi, innamorati, delicati in ogni punto del tuo rimembrare i momenti della tua felice prima giovinezza, così dolci come una fetta di quel ciambellone che tua nonna preparava.
Io so che a scrivere tutto questo meraviglioso incipit non sei stata tu, bensì il tuo cuore, nutrito da quell’amore che avevi ad hai per la tua nonnina e, il tuo cuore, nella sua bellezza, ha richiamato alla mia memoria il canovaccio di fine Ottocento, che ancora conservo, della mia nonna Emanuela che frequentava la scuola di ricamo presso le suore dell’epoca.
Sì, hai ragione, le persone che hanno accompagnato la nostra infanzia e poi la giovinezza non ci lasceranno mai e, vedi, un canovaccio per me, un ciambellone per te, tutto riapre pagine mai dimenticate della nostra vita, così genuina, sincera, pura nella sua bellezza, magica come i tuoi fantastici scatti, così veri, reali e così perfetti, oppure un ciambellone o un “vecchio stampo” ripulito con l’indice della mano.
Ogni cosa, evento, momento, situazione anche casuale, apre quell’angolo segreto e riservato del cuore per recuperare gli attimi della nostra felice giovinezza.
Grazie, mia carissima Debora per aver condiviso questi tuoi amati ricordi, grazie per avermi fatto ricordare la mia nonnina, grazie per saper narrare così bene i tuoi ricordi, ma, soprattutto, grazie per avermi commosso.
Caro Francesco. Grazie a te che hai voluto condividere con me i tuoi di ricordi familiari. Le nonne sono speciali per antonomasia. Sono il buono della nostra infanzia. E chissà….chissà come saremo noi nei panni di “nonni” 😉