Aria di Primavera.
La nostra casa è esposta ad Est. E a Sud. Doppio affaccio direbbero gli esperti del mestiere, doppia nostalgia dico io. Quando queste mura vennero acquistate, qui di affacci non c’era proprio nulla; a dirla tutta non vi erano neanche le mura che a quell’epoca erano poco più di qualche segno nero su un pezzo di carta. Esisteva solo una grande collina, puntellata di papaveri rossi e margherite gialle e dietro in lontananza il profilo dei Castelli romani.I nostri affacci, ad Est e a Sud, son stati tirati su in poco più di un anno, proprio dietro quella collina. Così, quando per la prima volta ci siamo potuti affacciare al riparo di mura concrete, ed era Giugno, ci sembrò che essa fosse il panomara più bello del mondo. Così bello che di rosso e di giallo ci stampammo gli occhi e spesso spalancammo finestre sulle luci dei Castelli in lontananza. Papaveri di giorno e lucciole alla sera: questo era il miglior regalo che quella collina potesse offrici per questa casa nuova. E poco importava se con la sua curva copriva una parte della vista dei Castelli o che, in Primavera ed Estate, dalla sua dolce gobba giungessero a noi sciami di ogni sorta d’insetto e volatile. Ci piaceva così: spalancare le imposte su quel pezzo di natura che ci era stato concesso.
Che le nostre mura fossero ad Est e a Sud, davanti a una grande collina straripante di fiori piacque molto anche ad una folta famiglia di api che già da quel lontano Giugno, alveò la propria casa su ciascuno dei nostri affacci. Trovarono uno spazio comodo, subito dopo la persiana, nell’imbotte della finestra a ridosso del muro in cortina e lì son rimaste. Il primo anno poiché non mi sembrava corretto distruggere la casa di qualcuno, proprio dopo averne appena ricevuta una tutta mia, decisi di sperimentare col sorriso e un pizzico di incoscienza la convivenza con questa piccola ma numerosa famiglia. Così continuai a spalancare le imposte e a godermi quegli affacci sulla campagna con l’eco del loro ronzare.
Di stagioni ne sono passate da quel Giugno. Nelle stagioni fredde i numerosi alveari, uno almeno per ogni finestra, rimanevano vuoti e silenti. Le api volavano via col loro bagaglio colorato di giallo e nero ma le loro cellette in carta di riso rimanevano intatte ad aspettarne il ritorno e neanche le buriane di una casa con doppio affaccio, a Est e a Sud, riuscivano a scalfirle. Ai primi gialli che fiorivano sulla collina, le api tornavano. E poi a seguire arrivavano anche i papaveri e ancora le lucciole. Erano belle le sere d’estate con quell’affaccio sui Castelli Romani e loro, compagne laboriose e colorate di una casa che nel tempo da nuova e vuota era diventata un po’ malconcia e piena zeppa, non cessavano di ronzare e svolazzare tra il lato ad Est e quello a Sud. Tra me e loro, forse in virtù di quell’iniziale rispetto che portai alla loro dimora, si instaurò un legame di mutua stima e considerazione. Nonostante le imposte aperte nessun’ape varcò mai il limite invisibile dei vetri, ne io intralciai il loro laborioso rimestare. Le nostre mura sono rimaste per lungo tempo la loro certezza, così come il loro ronzare era per me l’avviso che la bella stagione era alle porte. Poi la grande collina coi suoi papaveri e lucciole ci ha abbandonato. Quando le ruspe sono arrivate a scavare, scuotendo la terra ancora brulla e scura, era pieno Inverno e mai potevamo immaginare tutto il cemento che nel tempo a seguire avrebbe preso il suo posto. Piani e piani, più alti delle nostre quattro mura, più alti delle montagne e dei Castelli Romani: un infinito numero di appartamenti e abitazioni, gru, polvere, cantieri. Inutile nascondere che, dopo quell’inverno, con l’assenza della collina e dei suoi fiori, le api non sono più tornate a cantar Primavera sulle nostre finestre e della vista sulla natura e sui Castelli Romani non ci resta che un vago ricordo nostalgico.
Ogni tanto, di questi tempi, quando aprendo le finestre mi accorgo che il sole è più tiepido e giallo, che l’aria di primavera si infiltra tra la luce delle imposte, mi affaccio e sul ciglio in marmo della finestra espongo un bel vaso di fiori freschi e colorati. Rimango lì in silenzio, con gli occhi chiusi a cercare il rosso dei papaveri. Qualche insetto mi sfiora o si ferma sui petali del vaso. Raramente arriva, chissà da dove, un’ape. Ronza un po’, s’imbratta di giallo ma poi vola via.
Ho sempre pensato che le cose belle dovessero durare poco, quel tanto che basta finché si è in grado di riconoscerne e apprezzarne la bellezza. Anche se è un tanto che è poco, o un poco ch’è tanto. Ma, se la nostalgia resta, è stato sicuramente un tanto a bastarci, riempirci di colore, papaveri e lucciole. E al giallo delle api dedico questa pasta, al verde di quella collina, all’aria della primavera che arriva, ai doppi affacci e alle doppie nostalgie.
Canovaccio celeste by Wazars Store
RECIPE
dosi per 4 persone
1 mazzo di cime di rapa
2 limoni
1 porro grande
40 g di pinoli
25 g di burro
un ciuffetto di basilico
50 g di Parmigiano Reggiano
80 ml di olio extra vergine di oliva
240 g di pennette rigate
Iniziate lavando e mondando le cime di rapa. Scegliete le foglie più tenere e i broccoletti più piccoli. Tagliate il porro a rondelle. Tagliate in piccole parti le cime di rapa. In una casseruola abbastanza capiente, fate sciogliere il burro a fuoco dolce insieme al porro. Aggiungete poi le cimette, mescolate, aggiustate di sale e pepe e lasciate andare fino a quando le verdure non si saranno ammorbidite. Aggiungete qualche cucchiaio di acqua se necessario. In una ciotola invece versate metà dei pinoli, il Parmigiano grattugiato, l’olio e il basilico. Frullate bene il tutto e tenete da parte. Quando le cime di rapa saranno pronte spegnete il fuoco e mettete a bollire l’acqua per la pasta. Salate e versate le pennette nell’acqua bollente. Fate cuocere per quanto tempo è indicato nella confezione, ma state attenti a non scuocere troppo, la pasta andrà mantecata una volta scolata, quindi è meglio che sia un po’ al dente. Appena pronta quindi versatela nella padella con le cime di rapa, unite il battuto di basilico e un po’ d’acqua di cottura della pasta che avrete prelevato prima di scolare. Riaccendete la fiamma, fate saltare per qualche minuto e aggiungete i pinoli restanti interi. Appena pronta servite, spolverando la superficie con una dose abbondante di scorza di limone grattugiata e altro Parmigiano se necessario.
E poi sì, leggendo di volta in volta, capisci che certi incontri, seppur virtuali, non sono una casualità. Che c’è un certo intreccio di scie, come quella ragnatela bianca che si forma in cielo ad una certa ora. E sorridi e pensi che la casa che spesso frequenti, seppur virtualmente, non poteva avere altro affaccio se non a Est e a Sud. Proprio come qui, ai piedi delle colline piacentine. Io sono una ragazza che appartiene all’Ovest. La mia anima si trova proiettata verso gli spiriti che dimorano l’Ovest. Quando abitavo in provincia di Novara, il nostro appartamento di allora aveva tre affacci: Est, Nord, Ovest. Ad Ovest vedevo i fianchi rosa del Mottarone e in lontananza il ciuffo a punta bianco e rosato del Monte Rosa. Io uscivo ogni sera, sull’imbrunire, proprio sul balcone ad Ovest. Mi ricaricavo, mi rigeneravo, sentivo le braccia fremere di energie e sentivo la mia anima proiettata verso quello spazio infinito che si delineava sopra le risaie, ad Ovest…Non so perché senta questa attrazione irrazionale per questo punto cardinale. Come non so perché io adori tanto i limoni, tanto da mangiarli interi, a spicchi, con tutta la buccia e perfino i semi.
E quelle api, orfane di campi, anche qui le vedo vagare sofferenti tra muri di cemento e penso alla stupida ignoranza dell’uomo, che sta rinunciando a quanto di prezioso c’è, a quanto di vitale c’è….Senza il loro laborioso contributo, presto per noi non ci sarà più nulla. E ciò a cui non siamo capaci a rinunciare oggi, domani ci costerà molto.
Io adoro questa pasta, che al Cottage è di casa. Faccio spesso le tagliatelle di ceci e le condisco con limone e foglie di rapa bianca, o con cimette di rapa come hai fatto tu. Qualche volta una piccola acciughina si aggiunge.
Mi mancavano le tue foto…che urlano primavera ed invitano le api a cercare nuovamente casa accanto a te, che con una vicina così, è un bel campare!!!!
Bella la mia Reb che in ogni parola e in ogni gesto porta con sé la sua dolcezza e la sua originalità. Bella che sai riconoscerti in un punto cardinale, che sai specchiarti nella natura, nelle cose buone, bella che sai perderti nei paesaggi … E sì che hai ragione, ci sono poche affinità in giro, ma certe sono sicuramente vere ed elettive, tanto quanto lo è questa pasta che presto rifarò con le acciughe, in onore ovviamente, della tua Bellezza.
Ti abbraccio
Grazie, le farò! Brava!! B.giornata!
Grazie Paola sono contenta che ti sia piaciuta la ricetta e il post. Sei la benvenuta in questa cucina. Buona giornata anche a te.