PANINI DI PASTA DURA

Tu proverai sì come sa di sale
lo pane altrui, e come è duro calle
lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale.
(Dante Alighieri)

Una lunga storia di pane

Fare il pane non è cosa da poco. Ne rimango fortemente convinta nonostante l’intensa attività di panificazione registrata nei dintorni sia nei giorni di quarantena che in quelli a seguire. Mi convinco pure che non sia cosa per me. Tutto questo andirivieni di fornai e panettieri novelli inibisce la mia voglia di panificare ed amplia a dismisura quella sorta di timore reverenziale che mi ha spinto finora ad allontanarmi piuttosto che avvicendarmi su queste strade così battute. Ch’io faccia come la volpe con l’uva? Può darsi. Ma nella mia concezione di cucina, dettata per lo più dall’istinto, dai ricordi e dalla voglia di esaudire le voglie del momento; quella del pane resta un’impresa culinaria che merita tempi e attenzioni fuori dal comune. Una lunga storia insomma, da intraprendere con profonda coscienza e conoscenza e terminare se possibile con un pizzico di audacia ma solo dopo averla vissuta fino in fondo. Solo così (forse) mi convinco non a panificare, ma certo a studiare di farlo.

Tre strade per una stessa meta

Le strade battute sarebbero molteplici. Ma per questa lunga storia scelgo di tracciarle da ssola, come direbbe la mia amica Elena con quel suo bell’accento toscano che raddoppia le consonanti. E inizio col programmare tre vie da percorrere: un libro sul pane, di quelli belli e immediati senza troppa prosopopea; un esperimento da piccolo chimico ed un vasetto di li.co.li in prestito, laddove l’esperimento del piccolo chimico non fosse riuscito. La prima e la seconda strada iniziano insieme, prima che un bivio le divida in due scelte separate e autonome, posso conderermi il lusso di percorrerle entrambe godendo nella mia fantasia di una duplice opportunità: quella di imparare a fare il pane prima col lievito di birra e quella, gestazionale, di un nuovo tipo di lievito, da far nascere e accudire quasi come un terzo figlio.  Così, mentre in un barattolo 100 g di uvetta galleggiano come brodo primordiale con la stessa trepidante attesa di un bruco che diventa farfalla, nella mia cucina si muovono i primi, piccoli e incerti passi verso il pane. Complici ignari: un mattarello, una francese acquisita di nome Sabrine e la città di Ragusa.

Il fornaio della domenica.

Quest’anno non si parte, ho presto detto: si studia come fare il pane. E la voglia di tornarmene in qualche isola della mia bella Grecia o a casa in Sicilia è tornata prepotente e perentoria non appena ho sfogliato le prime pagine del libro di Sabrine d’Aubergine, Il fornaio della domenica. Già perchè proprio lì, in quel suo bellissimo e raffinato mondo francese, fatto di magliette a righe, etichette scritte a penna, gesti lenti a suon di jazz e barattoli dai bordi blu, ho ritrovato un pezzo della mia infanzia: i panini di pasta dura, quelli stessi che preparava il fornaio di fronte alla vecchia casa di Ragusa. Ho vissuto in questa città pochissimi anni per poterne ricordare qualcosa, ma quegli strani panini, arrotolati su se stessi, così morbidi all’intero, fanno parte del mio bagaglio di ricordi almeno quanto i templi, le cicale d’estate e alla sigla del Carosello dopo la quale si andava a dormire. E poichè quest’insolita coincidenza – ch’io ritrovi in Francia, ciò che ho lasciato in Italia – mi riporta trafelata a quell’idea di cucina fatta di ricordi e istintualità, non ho esitato un attimo ad indossare grembiule e mattarello e intreprendere l’inizio di una lunga storia di pane.

Con i piedi ammollo …

L’ho fatto con i piedi in ammollo, complice della ben arrivata calura estiva e del rumore del mare, durante una delle lunghe trasferte città-casa al mare, dove ritmi e temperature riportano equilibrio su ogni cosa, dove attendere è d’obbligo e ciascuna strada io scelga di percorrere, compresa quella del piccolo chimico, può essere intrapresa a cuor leggero e senza troppi sforzi. Il risultato è qui, sotto lo sguardo di voi tutti e nelle pance di chi ha potuto goderne, una volta a colazione, qualche altra a cena e qualcuna persino per il pranzo al sacco. I panini di pasta dura si realizzano in tempi veloci, senza lunghe attese di lievitazione e col solo uso del lievito di birra e di due braccia forti da fornaio.

RECIPE

La ricetta la trovate a pag. 94 del libro di Sabrine D’Aubergine, “Il fornaio della Domenica”, edito da Guido Tommasi Editore.

Questo libro è un piccolo capolavoro, scritto con ironia, leggerezza e buon gusto. Merita la vostra attenzione più di queste pagine del blog e spero che vogliate intraprenderne la lettura non solo per scoprire la ricetta di questi panini, ma per intraprendere come me un viaggio semplice ma completo attorno al mondo del Pane. Che non è cosa da poco.

 

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