BRIOCHE CON BIGA

“Lo sai perché mi piace cucinare?”“No, perché?”“Perché dopo una giornata in cui niente è sicuro, e quando dico niente voglio dire n-i-e-n-t-e, una torna a casa e sa con certezza che aggiungendo al cioccolato rossi d’uovo, zucchero e latte l’impasto si addensa: è un tale conforto!”

Julia Child

Il sapore si racconta.

Sì. Il sapore si può raccontare. Saperlo fare non è facile, saperlo fare bene, ancora di meno. Ma gustare un buon racconto di cucina è un’esperienza unica e indescrivibilmente bella, che va provata almeno una volta nella vita, sia che si scelga di narrare, sia che si scelga di ascoltare. E’ come tutte quelle preparazioni con certi ingredienti che vanno necessariamente assaggiati prima o poi nel corso della propria storia.

Ci sono in vero storie e storie di sapore. C’è chi lo racconta attraverso le consuetudini e le tradizioni della propria regione, mescolando sapientemente gli odori della propria terra agli ingredienti freschi di stagione, cucinando storie che vanno via leggere come una passeggiata in bicicletta in mezzo ai filari toscani. C’è chi racconta un sapore usando la voce della propria famiglia, montando storie e racconti come fossero albumi freschi da farcire a suon di anedotti familiari e ricette ad essi legate. C’è chi racconta di un gusto senza raccontare, scegliendo di delegare alla precisione matematica delle dosi e alla natura delle reazioni chimiche, il compito di parlare. E a quel punto a raccontare è solo il risultato finale che si materalizza sui vostri fornelli. C’è invece chi parla di sè attraverso il cibo: il sapore del cioccolato racconta della propria dolcezza, il profumo dei biscotti mette a nudo le proprie debolezze, una torta all’arancia rivela attimi ed emozioni vissute.

Ci sono piccole, micro storie di sapore racchiuse all’interno stesso di una singola ricetta: come fosse un romanzo breve capace di farci innamorare del piatto a partire già dalla lista degli ingredienti necessari. Ci sono racconti della memoria; quelli legati all’infanzia come il grembiule sporco della nonna, o al sapore dei cibi che ci hanno accompagnato nella crescita. Ci sono ricordi che rivivono, come vorrebbe Proust all’interno di un semplice morso.

Il sapore si racconta. Si racconta attraverso il viaggio, tra lo sfrecciare veloce dei campi dietro il finestrino del treno e tra gli ordori pungenti di vicoli e viuzze. Nei mercati, tra le urla delle piazze, ci sono racconti di sapore perfino nelle sagre di paese o attorno ad un tavolo, la domenica, a pranzo.

Una brioche per colazione e cena

Da queste parti si parla di cibo per l’amore smisurato nei confronti del cibo stesso e per l’irrazionale desiderio di prolungare nel tempo la felicità e il benessere che da esso scaturiscono dopo averlo ingerito.  Ma si racconta in maniera tuttavia sempre diversa. Ci sono stati giorni in cui il ricordo di mio padre e dei suoi peperoni arrostiti nella casa estiva, mi ha portato ad afferrare una penna in mano e ad arrostire ogni vegetale mi passasse sotto mano. Giorni in cui le merende con biscotti e crema pasticcera hanno infarinato tutta la mia cucina e infervorato certe relazioni. E ci sono stati giorni in cui il racconto aveva il sapore di un viaggio e quello di un’emozione al tempo stesso.

Da queste parti si parla di cibo non con lo spirito alchimista di chi deve portare alla ribalta la propria ricetta, l’innovazione della propria preparazione, ma con l’umiltà di chi invece impara ad assaggiare, a conosce consistenze, odori, sapori, gusti spesso nuovi attraverso la sperimentazione di molteplici ricette, attraverso lo studio della bravura di chi ha realizzato e voluto condividere. La buona cucina per me è onesta, sincera, semplice e come direbbe Julia Child piena di certezze. Così vorrei che fosse anche la mia scrittura sul cibo.

Qualche week end fa avevo preparato questo panbrioche. Avevo scelto di porzionarlo in tante piccole brioche per avere l’impressione che potessero durare più a lungo. Così la domenica, approfittando dei primi tepori primaverili ci siamo messi in viaggio solo dopo averne assaggiata qualcuna insieme al caffelatte. Mentre lo scrivo riesco ancora a sentirne l’odore di burro e in bocca il contrasto non troppo dolce tra l’impasto e la schiuma corposa del latte. Appiamo speso la domenica a girare in lugno e largo nei luoghi della Ciociaria a cui siamo affezionati, facendo scorta di luce, silenzi, scorci pittoreschi e portoni di legno. Poi a sera, stanchi e sopraffatti dal numero di passi compiuti e dalle generose porzioni dei piatti tipici assaggiati per pranzo, abbiamo ripiegato sempre su di loro, per cenare semplicemente con una fetta di panbrioche e marmellata.

Ora non so se questo racconto valesse la pena di essere narrato, ma certamente ognuna di queste brioche vale la pena d’essere rifatta e assagiata per provarne a sentire almeno il gusto e poi chissà, scegliere di raccontarlo alla propria maniera.

Ricetta di Angela de Santis. Io ho apportato qualche lieve modifica per ovviare alla mancanza di alcuni ingredienti. La sua potete trovarla qui.

RECIPE

dosi per circa 15 brioche piccole

Per la biga:

200 g di farina 170 w

100 g di farina manitoba

180 g di latte

12 g di lievito di birra fresco

Per l’impasto:

tutta la biga

250 g di farina forte 170 W

50 g di latte

1 uovo e 2 tuorli

90 g di zucchero

75 g di burro

1 cucchiaino raso di sale

1 tuorlo e 2 cucchiaini di latte, per spennellare

30 g di zucchero in granella, per guarnire

In una ciotola capiente tutti gli ingredienti necessari a preparare la biga, impastate con le mani fino ad avere un impasto grezzo, formate una palla, coprite interamente con acqua a temperatura ambiente facendo in modo che l’impasto sia completamente immerso. Lasciate lievitare fino a quando la biga non salirà in superficie galleggiando completamente. Una volta lievitata, riprendetela, strizzatela un pochino e mettetela nella ciotola della planetaria aggiungendo larestante farina, il latte, l’uovo e i tuorli dell’impasto. Impastate con il gancio fino ad ottenere un impasto omogeneo e sufficentemente incordato. Lasciate riposare 10 minuti coperto da un panno pulito. A questo punto unite lo zucchero, poco alla volta, ed impastate di nuovo fino al completo assorbimento. Unite il sale e proseguite ad impastare altri 5 minuti. Quindi unite un pezzetto alla volta anche il burro a temperatura ambiente, fino a che non sarà completamente assorbito dall’impasto. Il risultato sarà un  impasto molto morbido ma liscio e lucido, ben amalgamato ed incordato.

Trasferite il tutto in una ciotola leggermente imburrata dopo averlo lavorato e pirlato su un piano di lavoro. Coprite nuovamente con panno e lascia lievitare l’impasto ad una temperatura di circa 26° : in genere io accendo prima un po’ il forno e quando raggiunge la temperatura lo spengo lasciandovi dentro l’impasto a riposare ocn la lucina accesa. L’impasto dovrà lievitare fino al raddoppio.

Una volta raddoppiato, riprendete l’impasto e dividetelo in 15 pezzature uguali, pesandole di volta in volta. Pirlate ogni pezzatura dandole la forma di una pallina, poi adagiate ciascuna di loro in uno stampino metallico tipo da budino (potrete vederene alcuni ad esempio nelle foto.  Sistemata ogni pezzatura coprite e lasciate lievitare nuovamente per una ventina di minuti. A lievitazione terminata spennellate la superficie delle brioche con il tuorlo sbattuto con il latte e ricoprite con la granella di zucchero. Cuocete in forno preriscaldato a 165° (ventilato) per circa 40-50 minuti, verificando la cottura con uno stecchino prima di sfornare. Lasciate lievemente intiepidire e sforma il panbrioche dallo stampo.

2 Comments

  1. Rossella 29 Aprile 2022

    Sono venuta a combattere l’algoritmo qui. Che mi pare molto meglio ❤️😘

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    • debora 1 Maggio 2022

      Ti accolgo sempre a braccia aperte, soprattutto in questa tua lotta. Viva i nostri blog, abbasso l’algoritmo 😘😘

      Rispondi

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